Fonte: Federfarma.it
07/05/2013 21:24:20
La negoziazione con Regioni e Asl per il Cup in farmacia dovrebbe prevedere una remunerazione non inferiore ai 2,2 euro a prenotazione. A consigliarlo è lo studio condotto dal Cref, il Centro ricerche economiche e formazione di Udine, su commissione di Federfarma, che ne ha diffuso oggi i risultati. La ricerca si basa su dati raccolti nell’Asl 1 di Trieste, la stessa che un anno fa fece da “cavia” per l’indagine sui costi della distribuzione diretta sempre firmata Cref. Per valutare sostenibilità e costo di produzione del servizio erogato in farmacia, i ricercatori hanno effettuato una serie di ricognizioni in alcuni esercizi triestini affiancati da colloqui con i titolari più esperti. Si è così arrivati a stimare in 3 minuti e mezzo il tempo medio normalmente impiegato per ogni singola prenotazione, ai quali va poi aggiunta un’altra ventina di secondi per “contatti” (richieste dei clienti), incombenze di back office (formazione, manutenzione eccetera) e operazioni non andate a buon fine. Sarebbe però un errore, avvertono i ricercatori del Cref, puntare a una remunerazione che si limitasse a coprire i costi di produzione. Innanzitutto, avvertono, va sgombrato il campo da un radicato luogo comune: il Cup non sembra incrementare gli scontrini battuti, o almeno questa è quanto risulta dalle osservazioni condotte nelle farmacie. In assenza di “cross selling”, quindi, i titllari hanno tutto il diritto a praticare sui costi un ricarico che si giustifica anche con le rivendicazioni della farmacia dei servizi e con la necessità di controbilanciare la progressiva erosione dei margini sulla fascia A. Poiché comunque il Cup non comporta un rischio imprenditoriale vero e proprio, gli esperti del Cref valutano sufficiente un ricarico del 10%, da cui appunto quei 2,2 euro a prenotazione (iva compresa) di cui si è detto. Le valutazioni del Centro ricerche, tuttavia, non si fermano qui: se questa è la cifra “base” dalla quale le farmacie dovrebbero partire in ogni nuova contrattazione locale sul Cup, gli accordi finali dovrebbero anche ricomprendere una serie di impegni reciproci diretti all’ottimizzazione del servizio: dal lato farmacie, andrebbero concordati orari di erogazione ed eventualmente informazioni e assistenza da garantire alla clientela; dal lato Asl o Regione, invece, occorrerebbero precise assicurazioni sulla funzionalità dei servizi informatici e sulla standardizzazione delle procedure (tra i veri centri di prenotazione) per ridurre errori e disguidi. E’ ovvio che le Asl in cui oggi il Cup viene erogato gratuitamente dalle farmacie potrebbero trovare insostenibile le richieste economiche dei titolari. Anche su quest’ultimo fronte, tuttavia, il Cref ha fatto quattro conti: nell’ipotesi di una produzione annuale di 200mila prenotazioni, la spesa sostenuta dall’azienda sanitaria si aggirerebbe sui 440mila euro. L’alternativa è quella di escludere le farmacie dal Cup e prendere in carico l’intera massa delle prenotazioni: a Trieste, dov’è attivo un call center, scaricare questo volume di attività sul numero verde comporterebbe costi aggiuntivi per più di 820mila euro, cifra che rende le farmacie di gran lunga più competitive; se invece se ne facessero carico le strutture pubbliche (ospedali e distretti), la spesa aggiuntiva ammonterebbe a circa 390mila euro. Siamo sotto a quello che chiederebbero i titolari, ma i costi sociali che comporta quest’opzione (assistiti costretti a lunghi spostamenti per raggiungere le strutture) la renderebbero onerosa quanto la precedente. «Con questo studio» spiega Annarosa Racca, presidente nazionale di Federfarma «abbiamo voluto mettere a disposizione delle associazioni territoriali uno strumento di supporto per la loro contrattazione locale. La ricerca del Cref fotografa certamente un ambito territoriale ristretto ma offre comunque interessanti elementi di raffronto. E poi, è già allo studio una più ampia e approfondita analisi dei servizi “aggiuntivi” che le farmacie potrebbero offrire in condizioni di gestione sostenibili e praticabili». (AS)
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